una barbera (senza solfiti) che mi riporta a neive
Barbera d’Alba DOC 2016 senza solfiti, Castello di Neive, Neive (CN)

Questa è una di quelle bottiglie che mi fa sprofondare nei ricordi, di quelle che finiscono in valigia durante i viaggi, quelli che restano nel cuore.
Era fine luglio, c’era un afoso caldo estivo che si portava con sé ogni sera pioggia e scrosci di temporale. Ero immersa nelle Langhe ad assaggiare i grandi rossi piemontesi e mangiare ravioli del plin, tartare e tajarin con una media di 38 gradi all’ombra. Appena il cielo si copriva, immancabilmente, i cannoni tra le vigne iniziavano a sparare.
Quasi due anni dopo scelgo di ritornare lì con la mente: a Neive, in provincia di Cuneo, in uno dei più bei borghi d’Italia, con i profumi e i sapori del Barbera d’Alba DOC senza solfiti aggiunti di Castello di Neive. L’ho lasciato lì a maturare, ad equilibrarsi per capire l’evoluzione dall’assaggio fatto sotto il sole di luglio.

La Barbera d’Alba “Sulfites Free” è un’etichetta innovativa, tra le etichette che segnano storia e tipicità. Nasce dalle richieste di un pubblico di consumatori sempre più sensibile al concetto di genuinità e salubrità anche nel settore enologico.
Per riuscire a produrre vini senza l’aggiunta di solfiti (che, ricordiamo, hanno un ruolo importante nella conservazione del prodotto in quanto agiscono da antimicrobici ed antiossidanti) bisogna partire da uve perfettamente sane e molto mature, in quanto l’elevata concentrazione zuccherina di partenza rende possibile il raggiungimento di un maggior grado alcolico, che contribuisce alla conservazione del vino. 

In vigna bisogna curare le piante con estrema attenzione, defogliando e diradando per evitare qualsiasi rischio di marciume.
Al momento della vendemmia si procede ad un’accurata selezione dei grappoli, prima in vigna e poi in cantina.
La fermentazione avviene in vasche d’acciaio senza alcuna aggiunta di anidride solforosa e il vino matura poi per circa 8 mesi, sempre in acciaio, prima d’essere imbottigliato.

E’ un Barbera schietto e vivace, immediato ma allo stesso tempo complesso di ricche note aromatiche, che mantiene però la sua identità. Il colore è rosso rubino intenso. All’olfatto esprime note di ribes, mora, buccia di arancia essiccata ed a tratti bruciata (chi non ha mai messo la buccia dell’arancia sopra la stufa per invadere la casa di profumo? Ecco, la sensazione è proprio quella); le note floreali e vegetali ricordano la violetta, le foglie di tè, il timo ed il rosmarino fino a ritrovare sensazioni di burro, legno, pepe nero e liquirizia.
Il sorso è ricco, succoso, “marmellatoso”, come a me piace definire questa sensazione. C’è un bel equilibrio tra acidità e leggero tannino. Di primo impatto non è esageratamente aromatico. Vellutato e corposo ed i suoi 15,5° alcol non si sentono per nulla.

Un calice perfetto per della pasta all’uovo come i tajarin o dei ravioli del plin con sugo di carne nelle sue vesti più giovani; passando ad un assaggio più evoluto, come il mio, via libera a sughi importanti o formaggi stagionati.
Io l’ho abbinato con la lingua salmistrata accompagnata da salsa verde. Un connubio perfetto tra le note aromatiche e speziate del piatto con quelle del vino.