Dante e il vino

Oggi, 25 marzo, si celebra il Dantedì, giornata designata per celebrare Dante Alighieri che, in questa data, nella Pasqua del 1300 (come hanno individuato gli studiosi), iniziò il suo viaggio della Divina Commedia nei regni dell’oltretomba. Ancor più quest’anno è celebrativo per il sommo Poeta, a 700 anni dalla sua morte.

Due sono gli intrecci principali tra Dante e il vino: le citazioni che fa nella sua Opera e l’epoca del suo esilio veronese che, col tempo, ha dato vita ad una delle famiglie di viticoltori più rinomate della Valpolicella.

In due passi della Divina Commedia il celebre Poeta cita il vino ed entrambe le volte si trova nel cantico del Purgatorio.
La prima citazione la abbiamo nel canto XV che si svolge sulla seconda e terza Cornice, luogo deputato a purgare la colpa e il peccato dell’ira, dove si espiano rispettivamente le anime degli invidiosi e degli iracondi.

Lo duca mio, che mi potea vedere
far sì com’om che dal sonno si slega,
disse: «Che hai che non ti puoi tenere,
ma se’ venuto più che mezza lega
velando li occhi e con le gambe avvolte,
a guisa di cui vino o sonno piega?».
Purgatorio – canto XV (118-123)

Dante è giunto alla Terza Cornice e volge gli occhi per vedere cose nuove. Qui è rapito in una visione estatica nella quale assiste a diversi episodi. Quando il poeta torna in sé capisce di aver avuto le visioni; Virgilio lo vede camminare lentamente come qualcuno che si sveglia da un sonno pesante, per cui gli chiede cosa gli sia successo, visto che per un buon tratto di strada Dante ha camminato con gli occhi velati e le gambe impacciate, come un uomo vinto dal vino e dal sonno. Dante si dice pronto a raccontare a Virgilio ciò che ha visto in estasi, ma il maestro dichiara di aver letto ogni cosa nella sua mente e quello Dante ha visto erano esempi di mansuetudine che devono distogliere dal peccato di ira.

La seconda citazione la troviamo nel canto XXV, che si svolge sulla settima Cornice, dove espiano le anime dei lussuriosi.

E perché meno ammiri la parola,
guarda il calor del sole che si fa vino,
giunto a l’omor che de la vite cola.
Purgatorio – canto XXV (76-78)

(E affinchè tu ti stupisca meno delle mie parole,
pensa al vino che è prodotto dal calore del sole
unito all’umore che cola dalla vita.)

Dante, Virgilio e Stazio percorrono la scala che porta alla settima Cornice con passo veloce, uno dietro l’altro. Dante ha un dubbio e vorrebbe esprimerlo ai due poeti, ma teme di essere importuno ed esita. Virgilio intuisce il desiderio di Dante e lo invita a parlare liberamente, così il discepolo chiede come sia possibile che le anime dei golosi, pur essendo incorporee, dimagriscano per fame. Virgilio risponde facendo l’esempio dello specchio che riflette l’immagine come il corpo aereo riflette la sofferenza dell’anima. Tuttavia, per far sì che il dubbio di Dante sia chiarito meglio, Virgilio invita Stazio a fornire una spiegazione più dettagliata.

Stazio accetta e inizia dunque la sua spiegazione e dichiara che nel corpo paterno c’è un sangue perfetto che non alimenta le vene e che riceve nel cuore la virtù informativa capace di dare forma a tutte le membra umane. Una volta purificato, esso diventa seme, scende negli organi genitali maschili e si unisce poi al sangue femminile nell’utero. Qui essi si fondono e il seme paterno opera dando vita alla materia, generando quindi un’anima simile a quella di una pianta, salvo che questa è suscettibile di ulteriore sviluppo. Essa ha sensazioni simili a quelle di una spugna marina e inizia a organizzare le sue facoltà sensibili, finché la virtù informativa del generante si distende nel feto per completare tutto l’organismo. L’anima vegetativa e sensibile diventa intellettiva: non appena il feto ha sviluppato il cervello, Dio spira nel suo corpo un nuovo spirito, l’anima razionale che assimila in sé la virtù informativa, genera un’unica anima che ha tutte e tre le potenze (vegetativa, sensibile e intellettiva). Perché Dante comprenda meglio il ragionamento, Stazio fa ancora l’esempio del vino, prodotto dall’umore sostanziale della vite e dal calore del sole, elemento immateriale.

L’eccelso Poeta, sulla scia della Somma Teologica di Tommaso d’Aquino, per far comprendere uno dei misteri più importanti della Religione Cristiana, vale a dire come Dio riesca ad infondere l’anima intellettiva negli esseri umani in modo che questa produca l’inimitabile singolarità di ogni individuo, ricorre all’esempio della vite.

Dante, in questa metafora, racchiude la nascita del mistero della vita e come l’uomo prende forma attraverso la materia e lo spirito. L’uomo sta a metà tra la Natura e gli Dei, è l’unione tra parte vegetale, animale e intellettuale, cosa che lo differenzia dal regno animale. Infatti, attraverso l’intelletto ha la capacità di rendersi conto di ciò che gli accade durante la vita. Come il sole (Dio) infonde ogni tipo di virtù alla vite (parte vegetativa-sensitiva) generando il vino (uomo). 

Sembra strano ma quando si parla di vita, in qualsiasi testo esoterico i simboli sono la vite che, tra l’altro, dalla parola vita cambia solo una vocale, e il vino che simboleggia eucaristicamente lo spirito che si fa sangue, come il pane ne simboleggia il corpo.

Ma la sua memoria è ancor oggi legata al vino con la famiglia Serego Alighieri, suoi discendenti.
La tenuta Serego Alighieri sorge nel cuore della Valpolicella. Qui Corvina, Rondinella, Molinara e Oseleta danno vita ai grandi Vini di queste zone. Questa cantina fu acquistata nel 1353 da Pietro Alighieri, figlio di Dante, che aveva seguito il padre durante il suo esilio a Verona. Ospitati a quell’epoca dalla famiglia Scala, il padre della lingua italiana definì la città il “primo rifugio e’l primo ostello” dopo aver lasciato Firenze.
L’incantevole Tenuta, che io ho visitato e di cui vi ho già parlato, è tutt’ora gestita e vissuta dalla ventunesima generazione Alighieri. Lunga tradizione storica, culturale e vitivinicola da oltre 650 anni.

"...e quindi uscimmo a riveder le stelle."
Dante Alighieri